I nostri detriti. Che succede alle nostre proprietà quando moriamo? Gli scritti, le foto, le memorabilia del nostro intelletto galleggiano come materiale di scarto nella risacca dei pensieri di chi ci sopravvive? Svaniscono nel vento dei ricordi che si spengono o si alimentano venendo a tormentarci nelle notti insonni del lutto?
Spesso i protagonisti dei romanzi di King sono scrittori e anche in questo libro Scott Landon è un autore di successo, solo che muore, muore subito, anzi è già morto quando iniziamo la lettura e lascia in eredità alla vedova Lisey uno studio pieno di carte, di pensieri a metà, finanche di materiale inedito, ambito da molti.
Lisey, che ha già i suoi problemi con una sorella catatonica e autolesionista, si rifiuta di aprire le pagine mai lette e fa muro di fronte all’insistenza dei “forcuti Incunk”, gli sciacalli del dopo, i golosi della rarità.
Non ricordavo la matassa di questo romanzo, letto una quindicina d’anni fa e ripreso in mano ora per dar corso al mio progetto di rilettura in ordine cronologico delle opere di King, né il modo in cui i fili ingarbugliati di questo romanzo andassero a sciogliersi più o meno da pagina 200 in poi. Confesso che i primi capitoli di quest’opera laboriosa sono un’erta salita che mette a dura prova la nostra capacità di comprensione. Ma come ogni scalata che si rispetti, dopo arriva la discesa, vorticosa e pericolosa, un percorso che comunque non può affrontarsi a cuor leggero. Bisogna restare concentrati e con i freni ben piantati per non ruzzolare fuori dalle pagine.
Questo è un libro con uno stile particolare, ricercato, in alcuni tratti di difficile lettura, sembra quasi che King abbia qui voluto cimentarsi in un virtuosismo letterario, una sperimentazione artistica.
Un libro sul matrimonio, sulle parole inventate il cui significato è chiaro solo all’interno del cerchio magico della famiglia. Una storia sulla forza dell’amore e di un passato ancora in divenire che si appiccica al nostro presente condizionando le nostre azioni e producendo effetto sulle nostre emozioni.
Un racconto di sangue, di violenza paterna (“è un mostro, ma il mostro non è incapace di amare, questo era l’orrore di mio padre”), di sfoghi fisici. Le lame della narrazione tagliano le nostre braccia dissanguandoci e costringendoci a mollare quei freni cui eravamo tenacemente attaccati, verso la follia del protagonista (morto) e del suo pazzo ammiratore che aggredisce Lisey sfogando la sua frustrazione sul corpo della donna. Ed ecco che, sdraiata in una pozza di sangue, la povera Lisey cerca nei ricordi la risposta alle sue domande dondolando pericolosamente sul confine che separa la sanità mentale dalla follia. Il presente sfuma in un doppio passato perché Lisey ricorda di quando Scott ricordava la sua infanzia. Si mescolano i piani temporali e il romanzo sfuma nel fantastico, spiazzando il lettore.
Un libro complesso, intimo, difficile. So di molti che lo hanno abbandonano dopo poche pagine perché appare incomprensibile, perdendosi così il viaggio verso Boo’ya Moon, il non luogo, buono di giorno e cattivo di notte, ricco di archetipi letterari, prima fra tutte la “pozza dei miti” a cui lo scrittore, qualsiasi scrittore, sia esso King o Scott Landon, attinge a piene mani.
Forse Stephen King si è immaginato la sua dipartita e con questo libro ha voluto rappresentare la storia di chi resta, alle prese con tutti i suoi inediti. Come chiamarli? Amabili resti o macigni sul groppone di chi è sempre stato nell’ombra, un passo indietro rispetto al suo ben più famoso consorte, intento a raccogliere premi e lusingare la folla che lo ama? La risposta resta sospesa, nascosta tra le righe di una storia che alla fine narra di una lotta, dell’elaborazione del lutto, di un rapporto tra sorelle, di un altro di quei personaggi femminili forti che navigano nell’universo kinghiano afferrando armi insolite, siano esse una pala argentata o un posto magico, un luogo della propria fantasia dove sbarazzarsi del nemico.
Ma alla fine di tutto, che racconto è questo? Una storia d’orrore o una storia d’amore? Forse entrambe perché questa… è la storia di Lisey.