Oggi si salta.
Ho dormito un sonno agitato, fatto di sogni confusi, quasi incubi e mi sono svegliato con quella sensazione di timore, una paura sospesa nell’aria, come se fosse la mattina di un esame all’Università. Quella sottile tensione elettrica che ti scorre nelle vene, in attesa di diventare adrenalina.
Dicono sia un tuffo di cento metri, i primi settanta in caduta libera.
Dicono che molti di quelli che arrivano al cospetto del ponte lo guardano e se ne vanno, rinunciano, la razionalità che vince sulla follia.
Dicono che molti di quelli che non rinunciano subito, rinunciano dopo. Salgono, guardano giù e dicono no grazie, io no.
Dicono che alcuni arrivano a un centimetro dal salto, contano fino a tre e poi, semplicemente, crollano. Il cervello non riesce a dare il comando e le gambe s’impallano, aumentando la tensione di quelli che sono in fila dietro di loro.
Spero di non essere uno dei rinunciatari, uno di quelli costretto a vivere con il rimpianto di non esserci riuscito. Spero di essere uno di quelli che sale, si prepara e si butta, così, senza esitazione, ma finché non provi, non sai quale sarà la tua reazione.
L’auto è silenziosa. Sono le otto del mattino e un pallido sole fa capolino tra gli alberi. Si sente il profumo degli abeti e da qualche parte il verso di un uccello rimbalza tra i tronchi giungendo sino a noi. La strada ombrosa si apre, facendosi luminosa e svelando improvvisamente ai nostri occhi gli immensi piloni di cemento armato. Non so se fa più paura da lontano, frammento autostradale incastrato nel ventre della montagna, o da vicino, dolmen immenso, monolite sacro verso cui avvicinarsi con rispetto e circospezione.
È un’ascesa mistica, di cento e più pioli verso quello che per noi è un soffitto, ma che in realtà è il pavimento sul quale sfrecciano le macchine, ignare che pochi metri sotto di loro un gruppo di folli è intento a fare bundgee jumping.
Mentre salgo e le persone sotto di me si fanno sempre più piccole e indistinguibili, sento un soffio d’aria.
«L’hai sentito?» mi dice il tizio che mi precede nell’ascesa. Era il primo, un corpo, senza urla, senza niente, solo l’attrito dell’aria e nessun altro rumore. Il secondo a lanciarsi fa più casino, urla e almeno le sue grida mi riportano alla realtà, restituendomi la concretezza di quello che sto facendo. Il terzo sorride, mi strizza l’occhio e mi dice: «ci vediamo giù», prima di sparire risucchiato dal nulla.
Pare io sia il prossimo. E se il matto che mi deve legare si distrae e dimentica un nodo essenziale? Improvvisamente non mi sembra tanto saggio affidare la mia vita a un energumeno che probabilmente ieri sera ha fatto bisboccia con gli amici. Se qualcosa va storto, per riempire la mia bara servirà un semplice cucchiaino. L’idea del mio corpo che diventa una frittata sul terreno è cancellata solamente dall’immagine di mia madre che apprende la notizia che suo figlio si è suicidato, perché alla fine di questo si tratta, di un tentativo di suicidio.
Da sotto percepisco appena le urla d’incitamento di quelli che hanno già saltato. Afferro la corda con entrambe le mani, pregando che faccia il suo sporco lavoro.
Il balzo della fede, o della pazzia, sotto i miei piedi non c’è nulla, vivere o morire, testa o croce. Un impercettibile lasso di tempo in cui ti sembra di galleggiare, in cui il corpo non ha ancora capito che nulla lo sta sostenendo e la forza di gravità non si è ancora attivata. Poi va giù, di sasso, come un missile, un proiettile in accelerazione. Il mio involucro esterno è già dieci metri più giù, ma i miei organi interni li sento ancora tutti sulla pedana, sono scisso. Il dentro e il fuori si separano… e precipito.
Credo non sia durata più di quattro secondi la caduta libera, ma sono stati un’eternità. Poi lo strattone, improvviso, salvifico e una mano invisibile cancella l’evento del mio impatto con il suolo. Capisco di essere salvo, capisco con certezza che la morte mi ha risparmiato oggi, che nessuno chiamerà mia madre per dirle quanto è stupido suo figlio e posso godermi il resto, quelle veloci oscillazioni in attesa che l’elastico si fermi.
Gambe di gelatina toccano terra, un gruppo di pazzi corre ad abbracciarmi. L’adrenalina spruzza a raffica nel mio corpo scariche di energia che mi fanno sentire immortale, dandomi l’illusione di aver fatto una cosa follemente bella e restituendomi il desiderio di volerla rifare.
Oggi siamo venuti qua per saltare gente e lo abbiamo fatto, abbiamo saltato.