Un uomo viene condotto in carcere. Si chiama Caesar, parla di sé in terza persona e ha appena divorato mezza faccia al suo carceriere.
Comincia così questo bellissimo dark-fantasy, ambientato in un mondo (distopico?) dove due lune si dividono il cielo (il quinquennale Plenicongiunto) e dove il lunedì si chiama Primidì e la domenica Settidì.
Caesar è un “uomo morto che cammina” deve compiere la “Passeggiata” (quanta magnifica ispirazione al “Miglio verde” di King) verso il patibolo per aver ucciso 300 persone. Ma nell’attesa della sua esecuzione stringe un legame con una delle guardie, Eckhard.
Caesar sembra un tipo interessante, non un pazzo assassino destinato alla forca. Disquisisce di religione, di peccato e dannazione. Non sembra cercare una redenzione, ma in qualche modo appare in pace, nonostante il fardello sulla sua coscienza di trecento anime innocenti (?) che, come dice lui, ha aiutato a “danzare”. Per lui l’omicidio è un atto di liberazione trascendentale, il passaggio nel “vuoto”, il ricongiungimento con la dea Selene.
E così tra Caesar e il suo carceriere nasce un legame, di rispetto, di simpatia, di attrazione, al quale Eckhard non riesce a sottrarsi.
Il libro affronta tematiche importanti come la pena di morte e il perdono. Esiste la possibilità di redenzione se c’è perdono?
L’abilità narrativa di Calligola è stupefacente e ci accompagna in un percorso psicologico dalle mille sfaccettature che riesce a tener desta l’attenzione nonostante la mole del libro.
In questa discesa che Eckhard compie all’interno della sua anima è aiutato da un libro, un testo scritto dallo stesso Caesar in memoria e ricordo dei trecento omicidi da lui perpetrati e cominciati prima per vendetta, nei confronti della madre che sin da piccolo lo ha umiliato e percosso, e poi per un bisogno. Quasi come assuefatto a una droga Cesar ha capito che gli uomini sono irragionevolmente attaccati alla vita terrena, così misera e pregna di sofferenza, quando invece dovremmo tendere alla liberazione tramite il trapasso. E così diventa un sicario, per conto della Congrega Selenita.
Nella simbologia di questo libro un posto importante è riservato a un corvo cieco che Caesar identifica nella sua defunta moglie (inutile dire che è defunta per mano sua).
Il viaggio di questo libro è bellissimo, crudo e spietato. Una sorta di autobiografia dell’assassino che instilla nel lettore dei dubbi, mostrandogli il punto di vista di Caesar e scardinando certezze acquisite negli anni. Ed è anche una magnifica storia di amicizia e di rispetto. I miei più sinceri complimenti all’autrice.