Aurora vive nella casa delle voci, ma Aurora non è il suo vero nome e la casa delle voci non è la sua vera casa. Lei, la mamma e il papà sono una famiglia in fuga, nomadi che scappano dagli estranei. Vivono in casolari abbandonati e cambiano nomi e dimora ogni anno.
Pietro Gerber è uno psicologo, un “addormentare di bambini”. Utilizza l’ipnosi per scavare nella mente dei suoi piccoli pazienti ed estirparne i traumi.
Hanna Hall vive in Australia, ma viene in Toscana e chiede al sig. Gerber di usare l’ipnosi perché vuole ricordare l’Aurora che era da piccola.
Questa la tela su cui Carrisi dipinge un quadro perfetto. Pochi personaggi che non si perdono per strada travolti da mille eventi assurdi come avveniva per esempio ne “Il suggeritore”, o ne “Il tribunale delle anime”, ma che si svelano pagina dopo pagina, seduta dopo seduta.
Quattrocento pagine che si divorano in un attimo e che trascinano il lettore in una sorta di terapia a distanza dal momento che alla fine del libro sembra di essere andati dallo psicologo. Carrisi ci porta là dove non vorremmo mai andare, tra le stanze vuote di un vecchio manicomio e ci interroga sui grandi quesiti del nostro essere genitori: chi è il vero padre? Quello biologico o quello adottivo? Chi è la vera madre? Quella che fa nascere o quella che fa crescere?
Tra dilemmi morali e colpi di scena, il libro non tradisce e dà appuntamento al prossimo capitolo dal momento che questo è solo il primo di una trilogia.