A volte lo fanno. Scrittori diventati famosi grazie a un genere letterario decidono di sconfinare e uscire dallo loro “confort zone” per scrivere di sport. Hanno una passione, fai conto il baseball per Stephen King, e decidono di parlare di baseball. E a te viene voglia di prenderli a cazzotti perché tu di baseball non capisci una mazza (battuta!).
Nel caso di Grisham, che già era uscito fuori dal seminato, abbandonando il legal-thriller, con “L’allenatore”, “Il professionista” e “Calico Joe”, la passione sportiva è il basket. E allora decide di seguire le vicende di una giovane promessa di questo sport, Sooleymoon, che lascia il Sudan del Sud per fare una tournée americana con la sua squadra di dilettanti.
Il tour americano è la sua salvezza perché durante l’assenza il suo villaggio viene devastato dai ribelli e la popolazione massacrata.
Grisham allora si divide in due. Da una parte segue l’ascesa sportiva del giovane, su cui mettono gli occhi i talent scout della NBA, dilaniato dai sensi di colpa per aver abbandonato la famiglia; dall’altra ci mostra con brutale ferocia il tragico destino di questa povera gente africana in fuga verso i campi profughi.
Sooley e i parenti, lontanissimi nello spazio, sono legati da un filo sottile che Grisham ha l’abilità di tenere sempre teso.
Le digressioni sportive non sono mai pesanti però, soprattutto nella parte centrale, rischiano di annoiare un po’ se non si conoscono bene le regole del basket. Ma Grisham ha il merito di saper scrivere bene e quindi lo stile del “nostro” resta quello pulito, lineare e comprensibile di quando parla delle aule di Tribunale.
Per questo gli perdoniamo il cambio di registro. Che sia l’ultima volta però.
Piccolo spoiler: si piange, perché a volte i sogni si avverano, ma spesso chiedono un prezzo troppo alto per la loro realizzazione.