Bianco.
Accecante, lattiginoso, plumbeo, umido, bagnato, nebuloso, denso, ghiacciato, annerito, riflesso.
È bianco il colore dell’Islanda. Bianco come i suoi ghiacciai, come l’acqua bollente dei suoi geyser, come la spuma delle sue possenti cascate, come la trasparente luminosità dei suoi iceberg, come i ruscelli che dipingono sinuosi sentieri bagnati lungo le incrostazioni rocciose delle montagne, quasi fossero un flusso costante di lacrime che attraversano valli e campi prima di terminare in mare. Bianco come il fieno imballato in plastica acolore, come i pulcinella di mare, spruzzati di nero sul dorso e dipinti di rosso sul becco. Bianco come la notte che ad agosto non è mai buia, ma sempre luminosa, come di un’alba che tutto rischiara, che perfora le tenui tendine delle finestre che nulla riescono contro i raggi di un sole che non muore mai, che resta sospeso sull’orizzonte a regalare luce a una popolazione che per sei mesi all’anno di luce ne vedrà ben poca.
E bianca è la nostra auto, una Citroen C3 ritirata all’aeroporto di Keflavik, dopo un volo di quasi tre ore direttamente da Londra, anche se alla riconsegna la carrozzeria sarà ricoperta da un velo di polvere mista a insetti spiaccicati che la invecchierà di qualche anno, una spruzzata di grigio che ne ricoprirà le fiancate, svelando la durezza delle strade islandesi, non asfaltate se non per la statale n. 1, la Ring Road, che circumnaviga praticamente tutta l’isola.
E dunque partiamo, alla scoperta di un paese che ci dicono essere più simile alla luna che alla terra, pronti a solcare strade popolate più da ovini che da esseri umani, pronti al silenzio, alla solitudine di posti isolati, al fragore di cascate impetuose, alla meraviglia di una terra che pulsa di vita e di morte, sprigionando la sua potenza in eruzioni vulcaniche di forza inaudita.
Ci aspetta un percorso che ci mostrerà la parte più vera e cruda dell’Islanda, strade in mezzo ai crateri, alle solfatare e alla lava; strade proiettate verso l’ignoto che a ogni curva ti aspetti che la terra finisca, divorata dal magma, oppure che continui, all’infinito, unica lingua di asfalto percorribile in un mondo che ha conosciuto l’apocalisse e del quale tu sei l’unico sopravvissuto, alla ricerca di altre anime fortunate, oppure dannate come te.
Sulla strada verso Krafla ci fermiamo ad ammirare la cascata degli dei, la stupenda Godafoss, che seppur non troppo alta si allarga ad abbracciare un palcoscenico di terra piuttosto ampio, mandando in scena la propria bellissima rappresentazione teatrale.
Un facile sentiero a piedi permette di godere della vista sia dal lato destro sia da quello sinistro; uno sdrucciolevole passaggio sopra massi bagnati consente invece un contatto più ravvicinato con l’acqua in caduta su di un affaccio spettacolare.
Lasciata la cascata, ci dirigiamo verso il lago Myvatn, frastagliato in molteplici isolette e vero paradiso per l’avifauna, anche quella più fastidiosa, tanto che le guide mettono in guardia dai pruriginosi moscerini. A dir la verità siamo risparmiati dall’attacco di zanzare che invece paiono non esserci affatto e quindi possiamo percorrere in tutta tranquillità uno dei molteplici sentieri che attraversano i campi di lava di Dimmuborgir fino alla church, la chiesa, così soprannominata perché la lava raccoltasi nel corso degli anni ha creato un naturale arco che somiglia all’ingresso di una cattedrale.
Incameriamo energie mangiando i nostri panini, così da avere la giusta quantità di benzina per alimentare le gambe che devono portarci fin sopra il cratere di Hverfell.
Uno strappo di venti minuti circa, che prima toglie il fiato per la sua ripidità, poi mozza il respiro per lo spettacolo che offre, consentendo al piccolo uomo arrivato sin lassù di guardare dentro il cratere, affacciarsi sul bordo e scrutare in esso la magnifica pericolosità delle esplosioni che furono. Il monte ha un diametro enorme e non ci vuole troppa fantasia per immaginare quanta forza possa sprigionare un’eruzione. Osservata dall’alto la crosta terrestre si mette a nudo; pare di vedere sotto il vestito del pianeta terra, sembra di scorgerne lo scheletro attraverso le sue viscere fumose. Gli occhi si muovono a trecentosessanta gradi e sembra di ammirare l’inferno: colonne di fumo in lontananza, buchi enormi sul suolo, nera lava rappresa in blocchi ammassati uno sull’altro. Dov’è Lucifero, padrone di questo regno? In quale cratere si cela la sua dimora?