“Poteva andare peggio” è il diario pandemico di un papà in smart-working. Una raccolta organica di 44 racconti connessi dal filo logico della pandemia e suddivisi in tre parti che coincidono con le 3 fasi denominate rispettivamente di “isolamento”, “distanziamento” e “ripartenza”.
Il lockdown visto dal giardino di casa, attraverso gli occhi di due bimbi che si affezionano ai cani che incontrano e che stringono amicizia con gli altri bambini del condominio. Le 44 riflessioni sono frammenti di vita vissuta, sono il dipinto delle giornate di un padre in smart-working, improvvisamente costretto a spiegare ai suoi figli perché non possono uscire dal confine del giardino, sono le giornate dei bambini senza asilo che, nonostante tutto, crescono e creano un loro microcosmo pulsante di vita.
Un libro semplice e scorrevole, profondo e commovente, ironico e filosofico. Un’analisi sincera di un periodo storico senza precedenti.

ESTRATTI
C’è un’altra bimba piccola che scende giù a giocare. Lei tende ad avvicinarsi un po’ troppo, i bambini lo fanno, vedono altri bambini e corrono verso di loro, è normale. Ma non si può e la mamma giustamente le grida non avvicinarti a loro. Ecco, l’ha detto non avvicinarti (che potresti infettarti). Siamo diventati tutti potenziali untori. Abbiamo decretato che bisogna stare a tre metri di distanza l’uno dall’altro e così disponendo abbiamo bloccato una delle cose più spontanee del mondo, la corsa dei bambini.
Non portate i vostri figli dai nonni potrebbero ucciderli. Il monito dei medici è un grido che fa male, rimanda ai tragici greci, ai figli che inconsapevolmente uccidono i padri. Siamo diventati “homo homini lupus”. Siamo moderni uomini di Platone, confinati nelle caverne, circondati dalle nostre ombre e inconsapevoli delle cose del mondo esterno.
Giocate nei vostri recinti bambini, restate dietro le sbarre. Abbiamo insegnato ai vostri padri ad abbattere i muri e ora li stiamo convincendo a erigerne di più alti. Il mondo al di là della siepe; di qua noi, di là i cani con i loro padroni. La recinzione è bene, viva la recinzione; la recinzione è cosa buona e giusta, sia lodata la recinzione.
Ieri sera prima di addormentarsi Elena mi ha chiesto: «Papà, quando torneremo a fare le cose che facevamo prima?»
Non pensavo che l’ingenuo stupore dei suoi cinque anni la portasse a queste considerazioni. Credevo che l’unico cambiamento da lei avvertito fosse la chiusura della scuola.
Alla fine sono le frasi semplici e dirette, quelle che ti piovono addosso in un giorno monotono di quarantena, che ti fanno capire quanto pericolosamente è andato avanti il mondo e come lo abbiamo spinto sull’orlo del precipizio.
Buona notte Elena e non preoccuparti, ti prometto che presto torneremo a fare le cose che facevamo prima.
Il virus si sta diffondendo. Oggi ha eroso l’ultima barriera tra me e lui, quella dell’inconscio. Fino a ieri i miei sogni erano immuni. Potevo andare ovunque, senza limitazioni; potevo aprire porte senza indossare guanti e toccare persone senza dovermi disinfettare dopo. Ma stanotte no, stanotte nel mio sogno, per la prima volta, indossavo una mascherina. Sarà perché all’ingresso del supermercato mi hanno misurato la temperatura con una sorta di pistolotto laser puntato alla tempia. Testa o croce, roulette russa. Sotto 37,5 entri, sopra 37,5 ti facciamo portar via e non rivedrai mai più la tua famiglia! O sarà perché ieri sera, poco prima di mezzanotte, ho sentito un gruppo di persone fuori in strada gridare “assembramento”, come un crocchio di folli, uscito direttamente da un film dell’orrore, che si organizza in riunioni sediziose, in spregio di ogni divieto, instillando in chi li sente il germe della paura. “La paura ci rende prigionieri” per citare uno dei miei autori preferiti, “ma la speranza può renderci liberi”.
Ieri sera, nella consueta chiacchierata “filosofica” fatta con Elena prima di andare a dormire, lei mi ha chiesto: «Perché i vecchi hanno i capelli bianchi? Perché alcuni di loro hanno bisogno dei bastoni per camminare? Anche i cani invecchiano? Io ho paura di invecchiare.»
Tutte le cose invecchiano Elena, è inevitabile. E io mi auguro che tu possa invecchiare. Vorrebbe dire averti consegnata a un pianeta che non sta esalando il suo ultimo respiro, ma che ha ancora parecchie rotazioni da fare.
Ti ho addormentata turbata, ti rivedo stamattina serena sotto le coperte e ti scatto una foto, cercando di capire di quale sostanza siano fatti i tuoi sogni. Spero tu stia sognando unicorni rosa e non mascherine, spero di poterti proteggere ancora a lungo, anche se non potrò farlo per sempre, spero che una volta sveglia avrai voglia di raccontarmi i tuoi sogni. Spero.