“Avevo un motorino arancione” è l’autobiografia di Giuseppe che alla soglia dei cinquant’anni ripensa alla propria vita e ricorda di quando andava a scuola su uno scassato motorino per colpa del quale veniva deriso.
Un percorso emozionante in cui Giuseppe adulto guarda dentro gli occhi di Giuseppe bambino, ragazzo e uomo, e cerca di aiutarlo, di fornirgli la chiave di lettura di un mondo ostile e incomprensibile. Vorrebbe avvisarlo. Lui conosce già gli eventi e vorrebbe poter cancellare alcune pagine amare di questo libro, vorrebbe dirgli di non innamorarsi di quella ragazza che gli strapperà il cuore, ma non può. Sono proprio i momenti difficili a farci diventare grandi.
Attraverso sei capitoli (introdotti da canzoni famose) riviviamo mezzo secolo di eventi, da Alfredino Rampi a Papa Wojtyla, dalla vittoria al mondiale di calcio del 1982 a quella del 2006, il mostro di Firenze e gli attentati, i terribili anni del liceo classico e i moti studenteschi, le prime delusioni amorose e le meravigliose notti romane, le Torri Gemelle e i viaggi, la pandemia e l’incontro con Francesca, i film di culto e la musica, costante colonna sonora che sottolinea, volta per volta, i momenti più significativi della vita dell’autore.
Il drammatico incipit del libro, che fa vivere in prima persona i tragici eventi del terremoto dell’Irpinia, ha un lieto contrappasso nel meraviglioso finale che celebra il mistero della vita che nasce e che ha il volto dei figli Elena e Riccardo.
L’incapacità di capire il senso della vita finalmente diventa consapevolezza e si manifesta con un messaggio di speranza diretto a Elena e Riccardo, recapitato loro in modo puro ed emozionante.
Il libro è la storia di una crescita, di un’evoluzione, il raggiungimento di una vittoria dopo tante cadute.
Un’autobiografia senza peli sulla lingua, coraggiosa, autoironica, divertente, semplice, a tratti drammatica e sempre autentica.
ESTRATTI
Un appiattimento delle emozioni, una vacuità di pensiero, un galleggiamento in desideri ormai morti, un’infinita caduta nel buco nero della resa. La depressione ti fa vedere solo sensi unici, strade senza uscita, cancella dalla tua visuale tutte le vie di fuga, i percorsi alternativi. Tu sai che c’è il mezzo per uscire da questa melassa appiccicosa ma non te ne curi, ti crogioli nella tua errabonda staticità, quasi preferendo l’immota fissità delle tue non decisioni al rischio di fare un passo in avanti verso una soluzione che, a questo punto, non vuoi nemmeno trovare. Vorresti dormire e basta per non affrontare tutto ciò che ti si para di fronte là fuori. E in tutto quest’assurdo sopravvivere io mi sento solo, terribilmente solo.
Adoro viaggiare, percorrere quelle strade silenziose e dritte che sembrano tracciate da un righello gigante, strade che bucano il cielo al confine con l’orizzonte. In fondo la vita cos’è se non un percorso attraverso milioni di strade? Sgombre, trafficate, dritte, tortuose, in salita, ripide, piene di curve. Strade che diventano sentieri, sentieri che si trasformano in viottoli che si perdono nel bosco e lasciano di se stessi solo orme, impronte di fango, tracce nella sabbia. La nostra firma sul mondo è il nostro passo che ci spinge avanti, ci costringe a tornare indietro e riprovare quando finiamo bloccati in un vicolo senza uscita. A volte percorriamo tratti paesaggistici senza nemmeno accorgerci della bellezza che ci circonda, perché siamo impegnati a fare altro, distratti dall’inutile che confondiamo per l’importante.
Quando guardi per la prima volta dentro gli occhi dei tuoi figli appena nati il senso della vita sembra svelarsi e il cerchio chiudersi. In quel preciso istante Dio non ti svela il senso delle cose ma ti rivela che le cose hanno un senso. E allora, improvvisamente, cala il sipario sulla prima parte della tua esistenza e se ne apre uno nuovo. Il secondo capitolo della tua vita è vedere il mondo attraverso i loro occhi e nel fare questo, nel rivederti bambino, puoi finalmente cercare di capire il perché della tua esistenza. Guardando loro che crescono la matassa dei fili dell’umano esistere inizia a sciogliersi e non ti sembra più così ingarbugliata.